Foto di scena: Ulderico Pesce – Doppio Boom Pasolini © Centro Mediterraneo delle Arti - Milano, Teatro Menotti Filippo Perego, 11 novembre 2025
Foto di scena: Ulderico Pesce – Doppio Boom Pasolini © Centro Mediterraneo delle Arti - Milano, Teatro Menotti Filippo Perego, 11 novembre 2025
Foto di scena: Ulderico Pesce – Doppio Boom Pasolini © Centro Mediterraneo delle Arti

Nello Spazio Atelier del Teatro Menotti di Milano, Ulderico Pesce con il suo monologo racconta i meccanismi che legarono l’uccisione di Pasolini al delitto Mattei, la corruzione politica, il finanziamento pubblico all’Eni e la “strategia della tensione”

Petrolio è per l’autore un romanzo che non ha inizio. Più che un racconto, una struttura a “brulichio”, vocabolo che evoca gli sciami d’insetti come un coinvolgimento vorticoso di persone, il risultato di un lavoro d’inchiesta politica e poetica che Pier Paolo Pasolini volle redigere in nome di quella verità che lo porterà alla sua “passione”, accostamento cristologico che film come Il Vangelo secondo Matteo o episodi come La Ricotta in Ro.Go.Pa.G. anticiparono. In modo particolare il primo, girato a Barile, in Basilicata, non molto distante da dove era sorta la società Centro Oli Val d’Agri (Covi), del gruppo Eni, stabilimento all’indice per un devastante impatto ambientale causato dalla sua attività, un film dal cast incredibile che vide la partecipazione della madre del regista, Susanna Colussi, nel ruolo di Maria e di Mimi Notarangelo, giornalista, segretario provinciale politico del Pci materano e colui che con la sua macchina fotografica “fissò” i mutamenti sociali e culturali in atto nella sua regione, nel film interprete di un centurione.
Petrolio è un romanzo incompleto, dalle pagine trafugate, che fu pubblicato solo venti anni dopo la morte del poeta, un romanzo che può essere non a torto indicato come il testamento di Pasolini sulla presenza di uno stato profondo che deflagra e irrompe nelle vite degli uomini a dispetto della verità, dei valori autentici, delle radici storiche di popoli e territori, nel “brulichio” di malaffari che uniscono eminenze politiche a interessi internazionali.

Ulderico Pesce, con Doppio Boom. Pasolini, coadiuvato da un ottimo repertorio fotografico e video, celebra i cinquant’anni dalla morte del poeta friulano senza calarsi nelle retoriche a cui mediaticamente siamo abituati ad assistere quando si deve fare i conti con il suo nome. Qui non si tratta di evidenziare la grandezza della sua opera a dispetto di chi lo condannò da morto per i suoi stili di vita, ma di fare i conti con una storia che è ancora dei nostri giorni e che passa per il corpo ucciso di Pasolini in diniego a un’apocalissi scongiurata, ovvero quella rivelazione che avrebbe abbattuto il muro di omertà sulla morte di Enrico Mattei e le stragi, a partire da quella nella Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969, come già il suo celebre «Io so, ma non ho le prove» pubblicato su Il Corriere della Sera del 14 novembre 1974 aveva preannunciato.
Doppio Boom fa riferimento appunto alla pubblicistica del cosiddetto “boom” economico legato al consumismo, demolitore valoriale di quel sottoproletariato urbano e autenticità contadina di cui Pasolini fu forse l’ultimo cantore, e il “boom” delle bombe, in una strategia della tensione che aveva il preciso scopo di annichilire qualsiasi alternativa e opposizione al sistema, concepito da interessi sovranazionali saldati a corruzioni interne. Ulderico Pesce riesce per due ore ad attraversare il pensiero pasoliniano trasportando il pubblico nel mistero della sua morte e da ciò che avvenne dopo la pubblicazione di Petrolio. La riapertura del “caso Mattei” da parte del magistrato Vincenzo Calia della procura di Pavia arriva a urtare contro la punta dell’iceberg sotto cui vengono celati i fatti che riguardano l’uccisione di Pasolini.

Le note mancanti nel romanzo, le incongruenze editoriali, tutti riferimenti che fanno capo all’incidente aereo sui cieli di Bascapè del 27 ottobre 1962, forniscono materiale per arrivare a certificare da un lato l’assassinio di Enrico Mattei, dall’altro l’alibi per l’uccisione di Pasolini e a demolire la sentenza definitiva della Cassazione del 1979 che sancì come unico responsabile della morte di Pasolini (nonostante alcune testimonianze preziose come quella di Oriana Fallaci) il giovane Pino Pelosi detto “la Rana”, costretto a difendersi – secondo questa ricostruzione dei fatti – da una presunta aggressione sessuale da parte del poeta dopo essere stato adescato davanti alla stazione Termini. La rilettura da parte del magistrato di un romanzo, apparentemente slegato nel suo interno, come unicamente “pornografico” e “osceno” per le descrizioni di rapporti omosessuali, secondo almeno la maggior parte della critica letteraria del periodo, riconduce a un altro libro praticamente scomparso, Questo è Cefis, l’altra faccia dell’onorato presidente di un certo Giorgio Steimetz, probabile pseudonimo di Corrado Ragozzino, proprietario dell’Agenzia Milano Informazioni che pubblicò il tomo e di cui attualmente non si hanno informazioni, del quale Calia, come di fatto Pasolini che ne riporta brani interi all’interno del suo Petrolio, riuscì a entrare in possesso. Soggetto del libro è Eugenio Cefis, ex vice di Mattei che diventò presidente dell’Eni alla morte del fondatore e successivamente di Montedison nel 1971, durante il periodo delle Partecipazioni Statali del gruppo chimico, accusato di avere utilizzato fondi pubblici per finanziare un’impresa privata e de facto eliminato da Enrico Cuccia di Mediobanca nel 1977, ma che, ai tempi di Mattei, in vista di un importante accordo con l’Algeria sul metano, si mostrò contrario a un’indipendenza del gruppo energetico italiano nei confronti dei partner internazionali, in particolare le cosiddette Sette Sorelle. Ecco il movente della morte dell’imprenditore italiano e il collegamento con i fatti che portano alla notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 all’idroscalo di Ostia, dove Pasolini fu vittima di un agguato, anticipato nella ricerca di verità sulla morte del fondatore dell’Eni dal giornalista de L’Ora De Mauro, scomparso il 16 settembre 1970 mentre stava preparando la bozza de Il caso Mattei per il regista Francesco Rosi, film che uscì nel 1972 con protagonista Gian Maria Volonté.

Nella sua seconda biografia, Io so… come hanno ammazzato Pasolini. Storia di un’amicizia e di un omicidio, Pelosi ammette di non essere stato abbordato da Pasolini quella sera, ma di averlo assiduamente frequentato per mesi e giustificò la sua reticenza a confessare la verità per paura di ritorsioni verso la sua famiglia.
Quella sera Pasolini fu con tutta probabilità attirato in una trappola, un fittizio appuntamento con gli autori del furto di alcune bobine del film Salò o le 120 giornate di Sodoma in produzione dalla De Laurentiis. Ulderico Pesce racconta quell’ultima sera dell’artista, la dinamica del suo omicidio, l’implicazione dei fratelli Borsellino (forse gli stessi autori del furto delle bobine) come presumibilmente di Johnny detto “lo Zingaro”, tutti pericolosi criminali adolescenti legati ad ambienti di estrema destra, come di altre persone che avevano seguito sulla loro auto Pasolini e Pelosi per un totale di almeno sei. Il monologo non si sofferma alla sola descrizione dei fatti: Pesce coinvolge con una narrazione che si addentra nella filosofia poetica dello scrittore, il rapporto avuto nell’auto con Pelosi diviene l’ultimo respiro di una concessione di sé come trasfigurato nel libro, tutto l’episodio un affresco insieme tragico ed epico. Lo stesso investimento da parte degli assassini del corpo ormai esamine dell’artista con la sua Alfa Gt, trovata il mattino dopo in possesso di Pelosi, sembra quasi voler indicare il vero responsabile del delitto, quel predominio energetico che il petrolio definisce e che Pasolini voleva descrivere.

Uno spettacolo forte, non scevro da un’ironia amara come tipico di Ulderico Pesce, un percorso di denuncia, ma anche di crescita, fuori dagli schemi con cui si è ormai soliti identificare la figura di Pasolini, artista che non si uniformò mai ad alcun sistema e che visse intellettualmente isolato, un uomo che soffriva la svolta moderna consumistica e che temeva, per l’umanità che si stava profilando, la perdita d’identità, la cancellazione delle proprie radici, unitamente all’annullamento delle differenze culturali e i processi umani che queste suggeriscono, in nome di una distopia conclamata che genera un’omologazione amorale.
La sua è una personalità di cui oggi si sente la mancanza e la cui morte è servita a bloccarne il pensiero, almeno fino a quando una profonda riflessione, come quella che questo spettacolo genera, non contribuisca a capire meglio il presente e i possibili funerei orizzonti che un’assenza cognitiva può generare. Forse un triplo Boom firmato da Pasolini.

Produzione CENTRO MEDITERRANEO DELLE ARTI

Doppio Boom. Pasolini
Di e con Ulderico Pesce
Regia di Ulderico Pesce

Milano, Teatro Menotti Filippo Perego, via Ciro Menotti 11
Spazio Atelier, martedì 11 novembre 2025

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