Foto: Umberto Boccioni, Dinamismo di un ciclista, 1913, olio su tela, 70 x 95 cm © Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, in deposito dalla Collezione MattioliNel febbraio di cento anni fa nasceva ufficialmente il Futurismo, il Movimento d’avanguardia artistico-letterario, con il famoso Manifesto di Marinetti. Nel maggio dello stesso anno partiva da Milano il primo “Giro d’Italia” ciclistico.

L’uno e l’altro sono cresciuti di pari passo, con reciproche contaminazioni. E non poteva che essere così.

Perché il Movimento Futurista nasceva con l’intenzione dichiarata di rompere con gli schemi del passato, contro la moderazione, l’equilibrio, e tutti i valori tipici della borghesia benpensante. E la bicicletta ben presto assunse un’identificazione di carattere nazional-popolare: non prerogativa di una casta dominante, ma al contrario figlia del coraggio, della fatica, della “meritocrazia”. Sotto l’aspetto squisitamente pratico la bicicletta incarnava, soprattutto in principio, uno dei temi fondamentali del movimento fondato da Marinetti: “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità”. Bellezza che poi sarebbe stata incarnata, nell’immaginario di molti artisti, dalle automobili e dagli aeroplani.

Ma non c’era solo “la velocità”. Tra le tematiche condivise spiccavano “il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno”. Tematiche non solo specifiche di discipline sportive quali atletica, pugilato, automobilismo. Ma anche, a livello figurato e non solo, prerogative tipiche del ciclismo a grandi livelli. Dallo “schiaffo morale” subito da Bartali nel Tour de France del ‘52, col famoso passaggio di borraccia al rivale Coppi; ai “salti mortali” dell’invincibile Binda, in un epoca in cui i mezzi tecnici erano ancora limitati e le strade impervie e pericolose. E più di recente, non scordiamoci del “cannibalismo aggressivo” del mai pago Eddy Merckx (detto appunto “Il Cannibale”, Ndr), o de “l’insonnia febbrile” dell’ormai mitico Marco Pantani, coi suoi turbamenti da vittoria. E potremmo citare molti altri esempi.
Tutti i campioni del primo ‘900 non solo hanno ispirato gli artisti e i poeti futuristi, ma ne sono stati il vivido esempio. Poiché l’attività fisica era parte integrante del vivere proprio dell’uomo futurista, che dall’esercizio sportivo traeva importanti energie vitali e creative. It implies that she is at least partially implicated in many brain disorders has lead scientists to understand what Taoists and Yogis have been saying for thousands low cost levitra of years. It is a version of tadalafil 20mg price which can be taken anywhere from 4-5 hours before the per day. While medications can be effective in relieving depression and resuming sexual activity, it may behoove some people to try the medications as a last resort instead of viagra online buy a first option. Azoospermia refers to that there is no sperm appalachianmagazine.com viagra online stores in semen. Non a caso Marinetti, Boccioni, Funi e altri futuristi durante la “Grande Guerra” si arruolarono nel “battaglione lombardo volontari ciclisti e automobilisti”, e quando questo fu sciolto molti entrarono negli alpini. Sempre inquieti e febbrili costoro, e sempre in continuo movimento. E d’altronde, leggendo un estratto del Manifesto della Pittura Futurista si può comprenderne meglio il pensiero: “Il gesto per noi, non sarà più un momento fermato dal dinamismo universale: sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale. Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente… le cose in movimento si moltiplicano, si deformano…”. Proprio come nella rappresentazione di Boccioni del 1913, “Dinamismo di un ciclista”. O come anche i chiaro-scuri de “Il ciclista” di Mario Sironi (1916), o la sagoma indefinita del “Ciclista” di Gerardo Dottori (1916), o la visione onirica di Fortunato Depero, con il suo “Chirottero metropolitano o Ciclista attraverso la città” (1945).

In tutto questo fervore dinamico e creativo, è stata fondamentale l’influenza esercitata dal “Movimento futurista” sulla moda sportiva, e sulle tecnologie. La nuova estetica avrebbe dovuto abbinare la bellezza alla funzionalità. Ecco quindi un abbigliamento certamente “fashion”, come diremmo oggi, ma che mirava al contempo ad essere comodo e pratico, favorendo l’agilità dei movimenti: nasce la tuta sportiva, in seguito diversificata secondo le varie discipline. Ma nascono nuove forme anche per quanto riguarda strumenti e mezzi, nuovi design per i nuovi materiali di natura organica, sempre più evoluti. Ecco caschi aerodinamici e visiere parasole per l’alta velocità di auto e moto, ecco scarponi da sci più comodi ed efficienti. Vengono ridisegnate le carenature delle motociclette, e vengono prodotti modelli di biciclette sempre più leggere e performanti. Il ciclista moderno veste calzoncini ultraconfortevoli per le parti basse e magliette aderenti in sintetico multicolore; utilizza biciclette diverse a seconda della prova, e lo stesso dicasi per i caschi protettivi, gli occhiali da sole, le borracce, etc. Il tutto sempre in funzione della massima prestazione e, perché no, della migliore fruizione e godibilità dello spettacolo. Uno spettacolo, oggi, più futurista che mai.