Foto: Ettore Distasio © Luca Meola
Foto: Ettore Distasio © Luca Meola
Foto: Ettore Distasio © Luca Meola

Punto e Linea Magazine incontra Ettore Distasio, un’artista poliedrico che ha contribuito allo sviluppo di un teatro civile evolutivo e d’intensa riflessione sulle contraddizioni del presente

«Sono entrato nel teatro per caso e (per fortuna!) ne uscirò allo stesso modo…». Così Ettore Distasio, attore regista e produttore teatrale, descrive il suo ingresso in scena e ne prevede l’uscita, si spera il più tardi possibile. Nato nel 1967, appartiene a una generazione che “ha fatto la leva obbligatoria”, come ama sottolineare, affermazione identificativa di un percorso di vita dove sono previsti doveri affini a una propedeutica di gruppo ormai estinti e un disincanto rispetto a una maggiore durezza dell’esistenza. Asperità che contribuiscono alla maturazione del suo carattere artistico, tutt’altro che predefinito e scontato, frutto di una formazione eterogenea. Dopo una laurea in Relazioni Pubbliche e una preparazione maturata alla scuola del Teatro della Contraddizione di Milano, sua città natale, e al Kralski Studio Braton Vajevez di Lubiana in Slovenia, Distasio ricopre la veste di docente in comunicazione, Public Speaking e team building per aziende operative sul territorio nazionale ed europeo, unitamente a un perfezionamento performativo al seguito di personaggi dal grande spessore artistico, come il coreografo Michele Abbondanza, l’attore Michele Sinisi e il drammaturgo e regista, fondatore della Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra, Armando Punzo.

Il suo è un percorso artistico intenso, che lo vede, oltre che interprete, produttore e regista nella Compagnia Duchessa Rossa con Cinzia Brugnola, co-fondatore della casa di produzione cinematografica NeXT-Art, dove ha lavorato in veste di autore, nonché dei gruppi teatrali Noleggio Cammelli e Teatro Urlo. È stato attore in prestigiosi lavori al Teatro Litta di Milano come Confessioni troppo intime e Closer rispettivamente per la regia di Antonio Syxty e Sandro Mabellini, e non è mancata la sua partecipazione ad alcune produzioni cinematografiche indipendenti. Presente nei contenitori televisivi Camera Caffè, Piloti e La strana coppia, ha partecipato a diverse campagne pubblicitarie.

Da anni è in stretta collaborazione con il Teatro del Simposio, diretto da Francesco Leschiera, per il quale è stato protagonista di numerosi lavori, tra i quali Ray – Con tutta quell’ acqua a due passi da casa, pièce dedicata all’opera di Raymond Carver, uno dei maestri del realismo sporco, insignita del Premio Next 2019.
Un percorso artistico “impegnato”, le cui prospettive si misurano con le irrazionalità del presente e gli effetti della pandemia, non scevre da volontà progettuali, di cui ci parla direttamente Distasio durante un’intervista gentilmente concessa al Magazine.

Decidiamo d’incontrarci in una birreria all’aperto in una giornata soleggiata, davanti a una pinta di pils dissetante accompagnata da generosi stuzzichini, consapevoli di come la conversazione possa essere stimolata dalla convivialità di una tavola imbandita. Gradito in particolare un crostino con carpaccio di manzo, maggiorana, senape e pecorino, ideale connubio con la birra e allegoria sapida del nostro colloquio. Iniziamo dopo un brindisi.

Claudio Elli: Alla nostra salute, Ettore, e grazie per l’intervista… Hai una biografia molto interessante, dal punto di vista formativo e professionale. Riguardo la tua preparazione non parlo solo di scolarità, ma di frequentazioni importanti, tutti protagonisti della scena in diverse espressività con i quali hai avuto occasione di collaborare. Chi, tra questi, ha inciso più di altri sulle tue scelte artistiche?

Foto © Luca Meola
Foto © Luca Meola

Ettore Distasio: Salute a te, Claudio, e grazie. Come hai letto nella mia biografia il mio approdare al teatro è stato un caso così come il mio percorso formativo, che è stato definito da un regista con cui ho lavorato “un percorso alternativo”. Inizialmente pensavo fosse semplicemente un metodo stilistico diverso dalla formazione accademica, ma poi ho intuito che era soprattutto un modo per garantirmi l’indipendenza economica e distinguermi dal teatro d’élite. Ho frequentato la scuola del Teatro della Contraddizione e successivamente sono stato per un paio di anni a Lubiana presso il Kralski Studio Braton Vajevez. Da allora ho frequentato, e continuo a frequentare quando posso, laboratori e master class. Tra le persone che hanno influito maggiormente sulla mia formazione figurano di certo Gaetano Sansone, autore , attore e regista, autentico mentore dei miei esordi performativi che mi ha spronato a proseguire; Silvio Da Rù, autentico life coach del settore,purtroppo mancato da più di un anno, e Daniela Bestetti, entrambi artisti che mi hanno trasmesso l’etica del lavoro; Maria Consagra, grande figura cofondatrice negli Anni Settanta del Gruppo Farfa diretto da Iben Nagel Rasmussen di Odin Teatret e analista del movimento al Lims (Laban Institute of Movement Studies, NdR); Armando  Punzo, che mi ha fatto intuire quanto sia importante andare in profondità per ricercare nuovi significati. Senza dimenticare Domique De Fazio, insegnante e membro dell’Actors Studio di New York, per il suo metodo innovativo di ricerca formativa nelle arti dello spettacolo.

C. E.: Parliamo ora del tuo lavoro. Quale, tra le produzioni che hai concorso a realizzare, ritieni abbia più inciso sull’identità del tuo percorso?

E. D.: Ricordo con piacere quasi tutte le produzioni ma per rispondere alla tua domanda elenco quelle più significative in ordine sparso: Cyrano se vi Pare, uno spettacolo scritto dal giornalista Massimo Fini che abbiamo portato in giro per lItalia e che era una critica all’uomo moderno e al consumismo, Closer  di Patrick Marber con la regia di Sandro Mabellini , spettacolo definito dallo stesso autore, presente alla prima, come la migliore rappresentazione del suo testo vista a teatro, Tu mio, uno spettacolo  per la regia di Marianna Esposito vincitore del premio come miglior spettacolo al festival di Ischia, Beyond Vanja del teatro del Simposio, spettacolo in cui Francesco Leschiera ha ricreato con precisione le atmosfere di Čechov, Ray -Con tutta quell’acqua a due passi da casa scritto da Giulia Lombezzi e prodotto da Teatro del Simposio tra i vincitori di Next 2019.

C. E.: Uno spettacolo memorabile, quest’ultimo, che ebbi l’occasione di vedere al Teatro Libero. Collabori ormai da anni con il Teatro del Simposio e, oltre a Ray e Beyond Vanja, sei stato protagonista di parecchie pièce dirette da Francesco Leschiera. In quale personaggio che hai affrontato ti sei più immedesimato?

E. D.: La collaborazione con il Teatro del Simposio prosegue da molti anni e devo ringraziare Francesco, Antonello Antinolfi, Alessandro Macchi per avermi dato la possibilità di lavorare attivamente facendomi sentire parte della nella compagnia così come tutti coloro che gravitano e collaborano alla realizzazione degli spettacoli (Mauro Negri, Paola Ghiano, Serena Piazza). Sarà perché anche loro provengono da percorsi alternativi? Il personaggio in cui mi sono più immedesimato è stato Árpád Weisz, grandissimo allenatore di calcio di Inter prima e del Bologna poi, ebreo ungherese morto ad Auschwitz e protagonista dello spettacolo 90 minuti che ho portato in scena insieme all’ottimo Mauro Negri.

C. E. – Ricordo di 90 minuti la tua interpretazione, commovente e appassionata, nella cornice di un affresco storico-sportivo legato alla tragedia dell’Olocausto, un epilogo drammatico niente affatto desueto che costituisce un monito per il presente. Vorrei ora dare uno sguardo con te alla situazione attuale. L’emergenza sanitaria si è abbattuta pesantemente su tutto lo spettacolo dal vivo e non sono mancate polemiche sulle misure adottate e la stessa posizione di autorevoli personalità del settore. Qual è il tuo pensiero in merito?

E. D.: È un argomento difficile da affrontare. Da un anno a causa della “Pandemia Covid 19” il nostro modo di vivere ha subito dei cambiamenti, che ritengo avranno ripercussioni sul lungo termine. Personalmente, come cittadino e come attore, ho avuto la sensazione di essere stato messo da parte. Ho assistito all’incapacità della classe dirigente alla guida del Paese di gestire la situazione in un modo diverso che non fosse quello di chiuderci in casa, senza considerare le conseguenze sia economiche sia psicologiche, soprattutto per le giovani generazioni, che comportavano una scelta di quel tipo dettata principalmente dalla paura e alimentata da un clima di terrore ancora oggi presente. Come attore avevo capito da tempo che non esercito una professione socialmente riconosciuta (e non ci voleva certo il Covid per evidenziare questa condizione), posso solo aggiungere che la percezione comune in proposito si è accentuata. Le politiche di settore hanno oltremodo evidenziato la netta separazione tra i grossi enti teatrali e le strutture minori, con i primi che avrebbero almeno potuto manifestare il dissenso verso la chiusura totale, quasi i teatri costituissero un luogo dove il virus si sarebbe potuto trasmettere molto più rapidamente rispetto a un supermercato. Critica che estendo in modo più energico, non scevra da una personale arrabbiatura, rispetto un comportamento indifferente degli stessi nei confronti delle piccole realtà, deludendo l’aspettativa di solidarietà da parte di chi, grazie alle norme vigenti, riceve le sovvenzioni dallo Stato. Unico dato positivo, le maggiori difficoltà di piccole associazioni e compagnie hanno spinto a una rivendicazione di comparto con la nascita di movimenti, quali A2U e Unita, con lo scopo di cambiare le norme e i comportamenti che fino a questo momento hanno regolato il settore.

C. E.:  In effetti le misure sanitarie nei confronti del teatro sono state spropositate e hanno rischiato di mandare in crisi in modo irreparabile l’intero settore. Basti pensare alle cifre reali dell’impatto pandemico, dove su 48mila spettatori circa tra giugno 2020 e ottobre si è riscontrato un solo positivo al tampone, e Il dato in effetti ancora più incomprensibile è l’atteggiamento di molti dirigenti teatrali, soprattutto delle grandi strutture, che al dissenso verso un’ingiustificata chiusura prolungata hanno preferito promuovere lo streaming, personalmente ritenuto, come ho già avuto modo di esprimere, la negazione del teatro stesso. Avremo comunque modo di tornare sull’argomento. Ci troviamo tuttavia in una nuova fase di riapertura, che si spera durevole. Hai appuntamenti prossimi in programma?

E. D.: Sempre con il Teatro del Simposio riparto il 27 giugno con la prima nazionale di Odissea. Storia di resilienza urbana,spettacolo inserito nel festival organizzato da Teatro Linguaggicreativi “Risveglio di Periferia”, oltre alla preparazione di un nuovo lavoro che spero possa debuttare già questa estate. A luglio per l’estiva del Teatro Menotti riproponiamo Storia di un impiegato,pièce dedicata al Faber. Stiamo anche aspettando la riprogrammazione in diversi teatri degli spettacoli rinviati a causa della chiusura.

C. E. – Mi puoi descrivere lo spettacolo di fine giugno? La resilienza, vocabolo di cui si è abusato da più parti in relazione all’emergenza sanitaria, indica l’adattamento psicologico a una situazione restrittiva e la capacità di superare un trauma o un momento particolare di difficoltà. Come viene inteso in questo contesto scenico e perché viene associato all’Odissea?

E. D.: La pièce, scritta da Antonello Antinolfi per la regia di Leschiera e che mi vede in scena con Mauro Negri e Greta Asia Di Vara, è inserito nel programma “Lacittàintorno” di Fondazione Cariplo. È uno spettacolo diviso in due parti in zone diverse della città, che narra le storie di sconosciuti viaggiatori urbani, eroi della quotidianità che affrontano il presente da ciò che fu, che sarebbe dovuto diventare, o che è rimasto immutato nonostante la volontà di trasformazione, da cui la resilienza. Tra le due parti è prevista una corsa in bicicletta nel percorso che da Chiesa Rossa porta al Teatro Barrio’s, i luoghi performativi, ma il vero simbolo dell’eroe viaggiatore, metaforico e reale, è uno Yellow Bus americano.

C. E.: Interessante, credo uno spettacolo che esuli dalla pura rappresentazione. Le difficoltà di fatto forgiano il carattere e di conseguenza gli orientamenti progettuali. In questa fase storica, a parte l’imminenza, quali sono le tue aspettative? Hai particolari obiettivi da voler conseguire?

E. D.: A parte continuare il percorso intrapreso con Teatro del Simposio, sto sviluppando alcuni progetti, a partire da Collettivo Distanza insieme a Laura Anzani, attrice con esperienze all’estero e in Italia nonché insegnante, iniziativa che ha come scopo lo scambio tra realtà artistiche di paesi diversi. Tra le aspettative mi piacerebbe un’esperienza lavorativa in radio con contenuti che vadano al di fuori del comune intrattenimento. Credo sia arrivato il momento che qualsiasi forma artistica e comunicativa debba tornare a essere critica, ribelle, anarchica, che metta in risalto ciò che non funziona contesto sociale e che tutto questo non si sviluppi con l’uso della violenza, ma che abbia un impatto violento.  Come poi ho detto altre volte prendendo in prestito il calcio, sono un mediano del teatro, devo correre il doppio per farmi notare rispetto ai talentuosi attaccanti, ma a volte anche i mediani vincono i titoli.  Aggiungo: sono entrato nel teatro per caso e per caso ne uscirò.

C.E.: Ti assicuro che a tua volta hai talento da vendere e sono sicuro che riuscirai nella realizzazione di tutti i tuoi progetti d’iniziativa teatrale e non solo. Rispetto a una radio, dai contenuti “trasgressivi” legati a un’evoluzione del pensiero, hai toccato un tasto a me caro da tempo e che spero di poter concretizzare a breve. Ovviamente, vista la condivisione d’intenti, rendendoti partecipe degli sviluppi …

E. D.: Molto volentieri!

C. E.: Prima di congedarci, direi di unirci in un nuovo brindisi dedicato ai progetti futuri …

E. D. & C. E.: Prosit!

Recensioni di Claudio Elli dei seguenti spettacoli:
Beyond Vania
Ray – Con tutta quell’acqua a due passi da casa
90 minuti