Foto di scena: Il seme della violenza © Laila Pozzo - Teatro Elfo Puccini di Milano, Sala Shakespeare, dal 7 giugno al 2 luglio 2021
Foto di scena: Il seme della violenza © Laila Pozzo - Teatro Elfo Puccini di Milano, Sala Shakespeare, dal 7 giugno al 2 luglio 2021
Foto di scena: Il seme della violenza © Laila Pozzo © Teatro Elfo Puccini Milano

Recensione di Claudio Facchinelli

Dal 7 giugno al 2 luglio nella sala Shakespeare del Teatro dell’Elfo di Milano va in scena Il seme della violenza –The Laramie project, che trae origine da un omicidio omofobico che nel 1998 sconvolge la tranquilla comunità di Laramie, una cittadina dello Wyoming, uno stato dai confini rettilinei disegnati da meridiani e paralleli, ai piedi delle Montagne Rocciose.  Poco dopo il delitto la compagnia teatrale Tectonic Theatre Project si reca sul posto, e per un anno intero intervista coloro che, a vario titolo, hanno vissuto da vicino quel fatto di sangue. Ne nasce uno spettacolo di teatro verità, che la compagnia torna a proporre a Laramie, di fronte a coloro da cui sono state raccolte le testimonianze. Con un ardito, ulteriore passaggio drammaturgico, il teatro dell’Elfo riporta sulla scena questa complessa operazione documentaria e creativa

La nuda successione dei fatti è la seguente: Matthew Shepard, un giovane gay si imbatte in due coetanei che, motivati da una forte omofobia, lo rapinano, lo pestano a sangue e lo abbandonano, legato a una staccionata fuori città, dove verrà trovato agonizzante il giorno successivo. Muore pochi giorni dopo, senza riprendere conoscenza. I due assassini, identificati e processati, eviteranno la sedia elettrica, ma verranno condannati all’ergastolo, senza possibilità di remissione.
Lo spettacolo realizzato dall’Elfo non si limita a riprendere e tradurre il testo di Moisés Kaufman, ma mette in scena l’operazione nel suo complesso, con un espediente quasi pirandelliano, di teatro nel teatro, i cui personaggi non sono solo la gente di Laramie, ma anche i membri del Tectonic Theater Project che li interpretano.

Dello stesso autore, nel 2017 Ferdinando Bruni e Francesco Frongia avevano messo in scena il coinvolgente, raffinato Atti osceni, i tre processi di Oscar Wilde. Kaufman drammaturgo e regista, ebreo d’origine, gay dichiarato, argentino ma naturalizzato americano, quindi rubricato fra i latinos, ironizza pubblicamente sul suo molteplice destino di diverso. E troviamo anche lui in scena, uno dei dodici personaggi interpretati da un duttile Ferdinando Bruni.
Di volta in volta, introdotti e presentati da un narratore, qualcuno degli interpreti si alza da una delle due tribune a scalinata situate ai lati dello spazio scenico, per dare corpo e voce a una folla di oltre sessanta personaggi diversi. Sono brevi dichiarazioni, resoconti, testimonianze, confronti.

C’è chi per primo scopre il corpo martoriato di Matthew; l’agente di polizia che cerca di rianimarlo; i medici del pronto intervento e i neurochirurghi dell’ospedale; preti; assistenti sociali; un barista; semplici cittadini, ora increduli, ora scandalizzati. Di questo vasto affresco fanno parte anche gli attori del Tectonic Theater Project, alcuni dichiaratamente gay o lesbiche, con le loro iniziali perplessità sull’operazione, le riflessioni affidate a un diario, il successivo coinvolgimento.
Un grande schermo che sovrasta il palcoscenico integra le informazioni che ci arrivano dalla narrazione scenica: ora con brevi messaggi, come recepiti da una telescrivente; ora con immagini sgranate di Matthew e dei suoi assassini, e anche di Laramie; una cittadina per noi anonima, se non per il titolo di un western del 1955 (L’uomo di Laramie, con James Steward). E vien naturale, per chi è della mia generazione, ricordare anche il titolo di un film: Il seme della violenza, discutibile traduzione italiana di Blakboard jungle, anch’esso del 1955, che a sua volta parafrasava il titolo di un grande film di John Huston, girato in pieno maccartismo: Giungla d’asfalto.

Foto di scena: Il seme della violenza © Laila Pozzo © Teatro Elfo Puccini Milano
Foto di scena: Il seme della violenza © Laila Pozzo © Teatro Elfo Puccini Milano

Sono collegamenti che potrebbero apparire uno snobistico gioco di società, ma non peregrini. Tutte e tre le opere, con stili espressivi diversi, offrono uno spaccato della civiltà americana, quella meno appariscente e nota, altrettanto lontana dalla rutilante Hollywood quanto dalla Grande Mela e, pur riferendosi a periodi storici diversi, parlano ugualmente di contrasto generazionale, di degrado sociale, di emarginazione. Qui la discriminazione – e la conseguente violenza – non è razziale, e neppure sociale, ma è rivolta alla diversità di orientamento sessuale.
Ho cercato di farmi un’idea di Laramie (circa 30.000 abitanti, secondo l’ultimo censimento): una cittadina come Cernusco sul Naviglio, un po’ più di Gorgonzola; luoghi ritenuti tranquilli, non degradati, dove nelle giornate limpide lo sguardo indugia, non sul profilo accidentato delle Montagne Rocciose, ma su quello domestico, manzoniano, del Resegone. Ma la memoria mi ha riportato anche all’uccisione e lo stupro, avvenuto nel 1987 in zona Bovisa, della studentessa di un liceo milanese, il cui responsabile non è mai stato identificato. E allora mi sono state più chiare le valenze etiche e civili dell’operazione voluta dell’Elfo.

Già la produzione del Tectonic Theater Project è stata mostrata nelle scuole degli Stati Uniti per il suo valore educativo, e nel 2002 è divenuta anche un film. Ma accanto all’ovvia denuncia di una violenza, ripugnante quanto insensata e gratuita, lo spettacolo dice qualcosa di più, altrettanto, se non ancor più inquietante. Nel variegato mosaico delle interviste, spesso la pietà si sovrappone a incrostazioni di un inveterato pregiudizio omofobo: «Era un ragazzo tanto gentile e per bene»; ma anche «Se l’è voluta». Fino al fanatismo del pastore ultraconservatore Phelps: «Dio odia i froci!». E siamo indotti a domandarci quanto, anche da noi, come nella remota, anonima provincia americana, una strisciante, perbenistica sotterranea omofobia sia ancora presente. Ed è appena il caso di ricordare, e riflettere che, etimologicamente, “fobia” non significa “odio”, ma “paura”.

Preso atto del valore educativo e sociale dello spettacolo, e riconosciuto l’ampio respiro e il notevole impegno drammaturgico e produttivo dell’operazione, ritengo di esprimere tuttavia alcune riserve sulla sua resa teatrale. Il rifiuto di un registro narrativo tradizionale, a favore di una struttura a mosaico, fa sì che la molteplicità dei temi (la violenza gratuita; l’omofobia, l’odio – e la paura – del diverso, anche ammantati di perbenismo; il rifiuto di ammettere una realtà degradata locale) si incrociano e sovrappongono. Non ci sono scorciatoie consolatorie, o edificanti, ma neppure, se non in rari casi, momenti emotivamente coinvolgenti. Fra questi, la dichiarazione, non di perdono, ma di disponibilità a scambiare la morte con la vita, pronunciata dal padre di Matthew. O la riflessione, di alto profilo sociologico, di un sacerdote, padre Roger Schmit, su come nel linguaggio degradato si trovano le radici della violenza.

Una scelta di straniamento, coerente con gli spezzoni e le immagini documentarie proiettate sullo schermo, con la presenza in scena di tutti e otto gli attori, sempre visibili ai lati dell’ampio spazio scenico. Ma, alla lunga, i contorni psicologici si confondono e sfumano, i chiaroscuri si appiattiscono, complice – ohimè – l’ormai consolidato uso dell’amplificazione.

Produzione Teatro dell’Elfo e Fondazione Campania dei Festival
in collaborazione con Festival dei Due Mondi di Spoleto

Si ringrazia la Fondazione Matthew Shepard

Il seme della violenza
The Laramie project
di Moisés Kaufman e dei membri del Tectonic Theater Project
Traduzione di Emanuele Aldrovandi

Con Ferdinando Bruni, Margherita Di Rauso, Giuseppe Lanino, Umberto Petranca, Marta Pizzigallo, Luciano Scarpa, Marcela Serli, Francesca Turrini
Regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia

Voce solista e maestro del coro: Matteo De Mojana.
Luci: Michele Ceglia/Giacomo Marettelli Priorelli
Suono: Giuseppe Marzoli.

Milano, Teatro Elfo Puccini, Sala Shakespeare, Corso Buenos Aires 33
Fino al 2 luglio 2021
www.elfo.org